Negli ultimi giorni ho trovato un po' di tempo per riguardare un documentario ed alcune interviste al grande fotografo Giovanni Gastel. Le ho trovate illuminanti, estremamente ispiranti, ed ho pensato di metterle insieme e fornirvene un sunto. E' stato necessario un lungo lavoro di trascrizione a mano (play, pause, scrivi, play, pause, scrivi...) e di rielaborazione. Spero che il risultato del mix fra le testuali parole di Gastel e ed alcuni miei passaggi possa risultare interessante ed ispirante quanto lo è stato per me.
Giovanni Gastel nasce a Milano il 27 dicembre 1955, da Giuseppe Gastel e da Ida Visconti di Modrone, ultimo di sette figli. "Noi sette figli apparteniamo ad un insanguamento molto particolare, figli di una signora dell'altissima aristocrazia, i Visconti di Modrone più gli Erba. La madre è una Erba, quindi i tantissimi soldi dell'industria farmaceutica. Mio padre invece una adorata persona che però veniva da una famiglia più normale. Il poter vivere in questi posti che appartenevano alla famiglia Visconti o alla famiglia Erba, queste meravigliose ville, vedere quadri straordinari è stato estremamente formativo". L'influenza dell'ambiente e delle persone che lo circondano fin dall'infanzia condiziona il suo modo di lavorare e Gastel andrà sempre cercando quei modelli di bellezza ed eleganza nelle sue fotografie.
"Io non volevo fare il fotografo nella mia vita, in realtà io avrei pensato di fare il poeta. Poi ho avuto una fidanzata che mi ha molto molto forzato perchè trovava che avevo talento nella fotografia e mi ha fatto un grande regalo. Certamente se non avessi fatto il fotografo avrei tentato di fare il poeta di professione. Mi piace, continuo a scrivere e la poesia è un grande amore della mia vita. Trovo anche dei paralleli tra fotografia e poesia come tra romanzo e cinema, sono mondi abbastanza paralleli. La sintesi ed il rigore che c'è nella poesia lo ritrovo anche nella fotografia."
"Io ho cominciato negli anni settanta quando la moda italiana non c'era. Ho cominciato nel '76 a fare gavetta. Nel frattempo, mentre mi preparavo, è nato il made in Italy che mi ha subito imbarcato, per fortuna, ed è stata la più grande fortuna storica della mia vita. Ovviamente dai primi anni ottanta, da quando è scoppiato il made in Italy ad oggi si sono alternate letture del mondo della moda infinitamente diverse; è anche il gran divertimento di questo mestiere, tu adatti la tua creatività al mondo che cambia, il mondo sfila davanti alla tua macchina fotografica con le sue variazioni e tu devi trovarne un eco dentro di te."
Una delle cose che colpiscono ascoltando le interviste di Gastel è l'utilizzo della parola fortuna. La menziona più volte, spesso dice di aver avuto fortuna per via delle sue origini aristocratiche e per essersi trovato nel posto giusto, al momento giusto, a fare la cosa giusta. La fortuna è qualcosa che incroci e che devi saper cogliere. "L'essere nipote di Lucchino Visconti è stata una grande lezione. Naturalmente quando si è all'ombra di un gigante così bisogna imparare tanto. Più che imparare dalle opere che sono straordinarie ma sono il frutto della sua creatività si impara il metodo. Visconti aveva una enorme serietà, una preparazione assoluta, una immersione nel lavoto totale, aveva un modo di gestire il tempo completamente dentro il prodotto che doveva dare. Questa grande serietà è stata di esempio per tutta la mia vita. Poi l'essere parente ti apre certamente qualche porta... poi te la chiude anche, ti danno forse una prima opportunità e poi è difficile che ti danno la seconda, per cui la prima devi coglierla al volo, per cui se tu hai qualcosa da dire aiuta, se non hai niente da dire non serve a niente neanche essere parenti di nessuno."
Parlando delle persone che hanno influenzato la sua vita, Gastel menziona i grandi nomi del made in Italy, Armani, Capucci, "Versace è forse il più geniale di tutti quelli che ho incontrato. Mi diceva divertiti, stupiscimi, fai una cosa che non mi aspetto". "Il lavoro della moda è un lavoro di equilibrio tra la forza della committenza ed il tuo stile personale; si tratta di trovare una sorta di mediazione, non è la mia espressione pura, io devo entrare nella testa delle grandi aziende che mi affidano il loro marchio, cercare di capirlo e trovare dentro il mio stile personale delle rispondenze a questo input". Nel mondo della moda ci sono gli stilisti, ma anche le modelle. Gastel racconta che nei casting cerca qualcosa che vada oltre la bellezza, cerca anche l'anima perchè se non c'è anima, se negli occhi della modella non c'è nulla, con la tua fotografia le passi attraverso e vedi il fondale. "Forse la modella che mi ha stupito di più è Linda Evangelista che ho cominciato a fotografare quando era giovanissima, è arrivata a diciotto anni a Milano, negli anni ottanta, e si capiva che era destinata a diventare una star assoluta, già a diciotto anni. Una donna piena di personalità ed un anmale da fotografia. Tra l'altro io non capivo perchè, le prime volte che la fotografavo, non le parlavo e lei faceva esattamente le espressioni che avevo in mente. Allora gliel'ho chiesto e lei mi ha risposto - è facilissimo, io guardo le facce che fai tu di fianco alla macchina fotografica e le rifaccio - E' geniale, lei riusciva a entrare nella testa dei fotografi e ad essere come tu la volevi, anche senza molte parole".
In merito alla fotografia digitale, che molti della sua generazione definiscono come la morte della fotografia, Gastel ha un'idea diversa. "Ho sempre cercato di miscelare nela mia fotografia qualcosa di storico e qualcosa di avvenieristico. Ho sempre lavorato con grandi formati, la fotografia un po' del Far West, proprio telo nero e soffietto, però applicata allo sviluppo Polaroid che era una tecnologia avvenieristica. Adesso tutto questo universo sta finendo, la fotografia si rinnova con l'ingresso del digitale. Io, finchè mi è concesso, lavorerò con apparecchiature di tipo analogico e non digitale, però contemporaneamente sto molto studiando la fotografia digitale nel senso che è sicuramente il futuro ed è molto stimolante, nel senso che sta nascendo una fotografia che è nuova, completamente nuova. Quello che penso è che non bisogna ostinarsi a fare le fotografie di una volta con le tecnologie nuove, bisogna cercare una nuova fotografia. Da un certo punto di vista il movimento fotografico non è mai stato così vivo come adesso e ne sono molto felice."
Nella fotografia, anche per via dell'evoluzione del mondo della comunicazione, della rete, sembra che tutto sia stato già inventato e che tutti abbiano visto tutto. E' interessante la chiave di lettura di Gastel su questo argomento, su come a suo avviso un giovane fotografo possa ancora fare qualcosa di nuovo e diventare un bravo fotografo. "Penso che per chi fa un mestiere creativo il passato non deve esistere. Tu devi giocarti la tua chance quel giorno li, su quel lavoro li, come se non ci fosse niente prima e niente dopo. E' l'unica volta in cui puoi dimostrare di essere un grande fotografo, di avere una visione del mondo e anche del prodotto. Se tu riesci a fare questo tutti i giorni, l'emozione c'è sempre e ti rinnovi continuamente". "Quasi tutti terrorizzano i giovani dicendo che il mondo è terribile, che non ci sarà mai possibilità di lavoro, ma tutto ciò non è vero. La fotografia per esempio è una grande madre e per chi apporta una lieve variazione alla norma c'è sempre spazio, ci sarà sempre... non grandi rivoluzioni che non sono in grado di fare, ma piccoli spostamenti. Quello che mi preoccupa un po' dei giovani è che spesso arrivano ad un livello che è quello dei professionisti affermati e pensano di essere arrivati... invece il lavoro comincia da li, bisogna spostare un millimetro, un centimetro avanti l'offerta. Bisogna dare a chi vede il tuo prodotto di dire -beh, questa cosa non c'era - ed a quel punto il lavoro c'è, c'è in giro per il mondo e si può vivere tranquillamente di fotografia. E' faticoso trovare una variazione, doloroso anche, ma quella è la differenza tra un buon fotografo ed uno normale".
Una delle cose su cui Gastel ama soffermarsi è lo stile, in questo caso lo stile del fotografo, qualcosa che si ha e che evolve con il fotografo stesso. "Io penso che lo stile sia un lavoro a togliere, a ripulire. Uso sempre meno, sempre meno luci, sempre meno fondali, sempre meno ambientazioni. Da ragazzo cerchi di mettere idee su idee su idee su idee, poi piano piano cominci a togliere, a togliere, a ripulire; quello che resta è la tua visione. Io penso che la fotografia non parli della realtà ma ne disegni una parallela, che è la mia realtà. Io racconto un po' il mondo come mi piacerebbe che fosse, e questa è una grande libertà che da il mio mestiere, è formidabile."
Le interviste che ho ascoltato sono realizzate in tempi diversi, le prima anni fa, l'ultimadi recente. Eppure la freschezza delle sue parole è sempre la stessa, così come l'entusiasmo nel raccontare il suo utopico progetto finale e nel descrivere il bello della fotografia. "Io dico sempre che il mio punto di arrivo finale sarà quello di fotografare il nulla ma capire che l'ho fotografato io, questo è il progetto finale. Però quello che mi pace di questo mestiere è che la sera sono sempre un po' deluso di quello che ho fatto ma ogni mattina ho una nuova possibilità per provare a fare la foto perfetta, quella che mi darà la pace; oggi non sono riuscito ma domani mattina ci riprovo. In questa continua possibilità che offre il mio lavoro c'è questo bellissimo e utopico raggiungimento della perfezione. Questo è meraviglioso, credo che sia uno dei pochi mestieri che lo concedono".