mercoledì 9 maggio 2012

Instagram & C. - La fotografia

Ho iniziato a riflettere sul fenomeno del momento, Instagram, e non nascondo un iniziale senso di frustrazione. Aver dedicato anni a coltivare ed approfondire la passione per la fotografia, investito cifre importanti per tenere aggiornata la mia attrezzatura fotografica, speso tantissime ore per perfezionare tecniche di fotoritocco... assistere poi all'avvento di Instagram che, con un semplicissimo ed economico telefonino permette a tutti di immortalare attimi della propria vita e realizzare scatti accattivanti, mi ha dato molto da ppensare. Per certi versi l'ho presa un po' a male vedendo l'incredibile successo di queste immagini e, di conseguenza, dei loro autori; persone che spesso non hanno mai avuto la minima passione per la fotografia e che talvolta, un po' come in un gregge, si sono semplicemente buttati ad occhi chiusi nella mischia per dire "io c'ero" - anzi - "io ci sono". Le mie foto, belle o brutte che possano essere, fatte con tanta fatica, talvolta frutto di levatacce al mattino presto o di ricerche estenuanti delle migliori condizioni possibili, non vengono minimamente considerate. Queste Instagram invece le trovi dappertutto, blog e riviste, televisione, a torto o a ragione lodate e stralodate.


Lentamente la ragione ha preso il sopravvento sull'istinto ed ho pensato che in fondo la fotografia è una forma di espressione e che, qualunque sia lo strumento utilizzato, l'importante è che si raggiunga il proprio scopo, che si riescano a trasmettere delle emozioni a chi guarda le nostre immagini. Che venga utilizzata una costosissima Nikon D4 da 6000€ o che si sfrutti un telefonino da 150€ non cambia nulla, l'immagine stessa ed il suo contenuto sono gli oggetti che devono raccontare, emozionare, far parlare di se. Più sarà accessibile lo strumento, maggiori saranno le possibilità per chiunque di esprimere pensieri ed emzioni attraverso le proprie fotografie. Questa è indubbiamente una gran cosa, un punto a favore di Instagram.

Infine quest'oggi, leggendo alcuni blog, ho trovato frasi inquietanti tipo "cari follower, scusate se non avevo ancora inserito il mio post settimanale con le Instagram, ecco qui alcune immagini per voi"... "pescate un po' a caso" aggiungo io. Foto senza arte ne parte, senza un messaggio, quasi senza un soggetto. L'importante non è dunque avere qualcosa che valga la pena di essere fotografato, mostrato, raccontato, bensì aver realizzato il proprio post settimanale con le proprie Instagram prive di significato per dire "io c'ero" - anzi "io ci sono".


Ho ancora le idee un po' confuse ma, rispetto all'inizio, ho maturato la convinzione che Instagram possa essere una utilissima innovazione, un strumento alternativo, un nuovo modo di esprimersi, qualcosa che potrebbe permettere anche ai ragazzini di avvicinarsi alla fotografia, appassionarsi, crescere e magari diventare un domani talentuosi e creativi fotografi. Il problema, quel fastidio iniziale, non è dunque determinato dallo strumento, bensì dall'uso "un po' a caso" che molti ne fanno, giusto per essere allineati all'ultima tendenza. 


Mi piacerebbe conoscere il parere di altre persone su questo tema.

Adesso mi sento molto meglio :)
Flavio




mercoledì 14 marzo 2012

Faber

Chiacchierando del più e del meno tra colleghi si è fatto il nome di Fabrizio De Andrè e si è parlato di un museo a lui dedicato. Immancabilmente il mio pensiero è andato alle numerose foto che ho scattato ad una piazza che anni fa gli è stata dedicata nella mia città. Riporto qui alcune foto e pensieri dedicati a Fabrizio ed a questa Piazza e pubblicati tempo fa da me su altre piattaforme.





Succede una cosa strana, nella mia città... 

Succede che viene dedicata una piazza a Fabrizio De Andrè. Nulla di strano, siamo in Liguria e Fabrizio, Faber per chi lo ha sempre seguito ed ammirato, è di Pegli ed ha vissuto e cantato spesso della sua Genova, di quella Genova fatta di degrado, della vita difficile di Via del Campo, del quartiere di Sant'Ilario allietato per breve periodo dall'arrivo di Bocca di rosa. 


Succede che gli viene dedicata una Piazza. 

De Andrè... Piazza Fabrizio De Andrè, nella nuovissima zona vip della mia città, accanto ai (pochi) locali notturni ed alla rinata Vecchia Darsena che nelle sere d'estate si popola di figuri che pensano di essere i Briatore della riviera di Ponente, i nuovi Vip della Savona da bere. 

Ci vado e faccio qualche scatto... ci sono tornato più volte, affascinato dalle geometrie, dai colori che profumano di mare, ma che non riescono a trasmettere quegli odori della vecchia Genova, della Liguria cantata spesso da Fabrizio, Faber... pardon. 



Provo a girarla a tutte le ore, scatto, annuso, guardo... torno a casa deluso e provo a convertire questa visione dai delicati colori del mare in una visione in bianco e nero... Le sensazioni di quella Genova però... non arrivano. 


Sul calar della sera... una certa brezza, colori meravigliosi... ma l'odore è sempre quello dell'acciaio; ma non è l'acciao di Fabrizio, Faber... pardon. Non è quell'acciaio di Cornigliano e delle acciaierie Riva, ma un acciaio pulito e tirato a lucido.



Succede che mi fermo e rifletto, che mi trovo immobile a pensare ed a guardarmi attorno, tra quei vetri, quelle luci e quell'acciaio tanto diversi dalla sua Genova... ed a ricercare dove, in tutto questo, possa trovarsi una traccia di Fabrizio, Faber... pardon. 



Il 18 Febbraio 1940, 72 anni fa, nasceva a Pegli Fabrizio de Andrè... Faber, pardon.



lunedì 12 marzo 2012

Giallo


Il freddo delle ultime settimane ha avuto su di me un duplice effetto: prima di tutto ha ridotto a zero la mia voglia di uscire per camminare e smaltire qualche etto. Poi, come tutti sanno, il freddo aumenta il fabbisogno calorico e di conseguenza, sotto il profilo alimentare, non mi sono privato di nulla. Quella del fabbisogno calorico in aumento a causa del freddo, in realtà, non credo sia applicabile all'uomo moderno tutto casa ed ufficio come me; potrà essere valida per chi fa vita all'aria aperta, esposto alle rigide intemperanze dell'inverno... tuttavia mi sembra un'ottima scusa per concedersi qualche stravizio alimentare e moralmente costituisce un buon alibi e non mi fa sentire in colpa quando salgo sulla bilancia.


Deciso a riprendere il controllo della situazione (del mio corpo, più che altro), unendo l'utile al dilettevole, ieri pomeriggio ho buttato lo zaino fotografico in spalla e sono uscito per fare quattro passi in riva al mare (camminando sulla sabbia si fatica molto e si smaltisce almeno quel dolcetto al quale proprio non hai saputo resistere). Meta della camminata è la solita tranquilla spiaggetta dove abitualmente vado a prendere un po' di sole in estate, a tre minuti da casa (in macchina, a piedi saranno venti minuti circa). Dietro la spiaggia ci sono numerose baracche che negli anni sono state abbellite con alberi e piante e spesso ho trovato ottimi soggetti per fare qualche scatto.

Le catastrofiche conseguenze del gelo purtroppo non hanno colpito solo il mio fisico, ma si sono accanite anche sulla vegetazione del mio piccolo angolo di paradiso facendo piazza pulita di ogni fiore. Ho girovagato per qualche minuto senza trovare nulla di interessante e proprio quando stavo per riprendere la via di casa ho visto una piccola macchiolina gialla fare capolino tra i fili d'erba...

In tutto una decina di scatti... il mio piccolo angolo di paradiso non mi ha tradito neppure questa volta.








martedì 21 febbraio 2012

Ogni uomo è un'isola

Ogni uomo è un'isola...

Il film About a Boy inizia così:

Secondo me... ogni uomo è un'isola, e per di più questo è il momento giusto per esserlo. Questa è l'epoca delle isole. Cento anni fa era diverso, dovevi dipendere da altre persone, nessuno aveva la TV, o i CD, o i DVD, o i video, o la macchina per farsi il caffè espresso in casa. A dire la verità... non avevano niente per divertirsi.
Oggi invece puoi crearti da solo una piccola isola paradiso. Con gli accessori giusti e, cosa ben più importante, l'atteggiamento giusto, puoi essere assolato, tropicale, una calamita per le giovani turiste svedesi. E a me piace pensare che io potrei proprio essere un'isola del genere. Mi piace pensare di essere molto fico, mi piace pensare di essere... Ibiza.

La cosa importante nella vita da isola è pianificare le proprie attività e trovo che la chiave sia dividere la giornata in unità di tempo della durata di non più di trenta minuti; le ore intere possono intimorire un po', e la maggior parte delle attività richiede circa mezz'ora. Fare un bagno, una unità. Guardare Count Down, una unità. Fare ricerche su internet, due unità. Ginnastica, tre unità. Farmi massaggiare accuratamente la cute, quattro unità. E' sorprendente come la giornata si riempia e spesso, ad essere del tutto sincero, mi chiedo: "avrei davvero il tempo per un lavoro?". Ma come fa la gente a fare tutto quanto?

La scena del film su Youtube: Nessun uomo è un'isola

Anni fa, visto il film, decretai quasi inconsapevolmente la frase "ogni uomo è un'isola" come la mia preferita, una sorta di inno alla vita. Non ho mai riflettuto a lungo sul reale motivo, forse solo perchè detta da Hugh Grant, perchè con la voce del suo doppiatore suonava bene (mentre con la mia... meglio lasciar perdere). Di sicuro non per le "giovani ragazze svedesi", più probabilmente perchè essere isola è un modo per non dipendere dai ritmi frenetici della vita moderna, per non dover essere costantemente sotto pressione con un capo che ti stressa sollecitando la fine di un lavoro, per non dover correre per prendere un treno o un aereo, per non dover fare le vacanze ad agosto ma per essere un po' in vacanza tutto l'anno.

Essere un'isola, forse, è l'abbandonarsi a fare ciò che più ci piace rispondendo solo a noi stessi. Io non sono un'isola, almeno non per trecentosessantacinque giorni all'anno... forse ogni tanto, talvolta solo per qualche ora al giorno, magari nelle domeniche in cui piove e ci si può abbandonare sul letto a guardare la tv, sedere alla scrivania per navigare in rete, sedersi su una comoda poltrona per leggere qualcosa.

Cosa significa per voi sentirvi un'isola?


Ogni uomo è un'isola... però Ibiza no, non voglio essere quel tipo di isola, perdindirindina*

* Perdindirindina: da Notthing Hill - Hugh Grant quando non riesce a superare un muro di recinzione scavalcato agevolmente da Julia Roberts

lunedì 20 febbraio 2012

IL MIO strumento di tortura

Durante le vacanze di Natale, come deterrente contro gli stravizi alimentari, ho iniziato a pesarmi quotidianamente con la mia meravigliosa Luminance ed a registrare i valori in una tabella excel. Ho avuto la poco felice idea di affiancare alla tabella un grafico il cui andamento assomiglia, tristemente, a quello dello "spread btp bund" di un mesetto fa. 

La temperatura è ancora piuttosto fredda, quest'anno ho evitato l'influenza e vorrei proseguire su questa strada, io non sono un supereroe... per questi ed altri ottimi motivi con i quali non voglio tediarvi ho deciso che una mezz'oretta di ministepper avrebbero potuto sostituire tranquillamente un'oretta di camminata all'aria aperta. 

Avete mai provato ad usare uno di questi aggeggi? Forse si. Sicuramente non avete usato IL MIO ministepper che giaceva inutilizzato da circa un annetto sul balcone, oggi alla temperatura di quattro gradi centigradi. Per la cronaca, è già faticoso utilizzare uno stepper nuovo, ma con IL MIO ministepper ogni tentativo di abbassare una delle pedane si traduce in uno sforzo immane, ciclopico. I pistoni idraulici infatti, a quella temperatura, diventano durissimi e le pedane non si abbassano neppure provando a saltare a peso morto su una di queste da un altezza di mezzo metro. Avvicino il diabolico strumento di tortura ad un termosifone e vado a prepararmi... cardiofrequenzimetro (eh si... è importante perchè vorrei lavorare nella zona aerobica e consumare grassi), tuta e scarpette da ginnastica.

Il ministepper è in temperatura e pronto all'uso (sembra di descrivere una ricetta di cucina). I primi due minuti sono durissimi... ogni passo sembra l'ultimo di una lunga maratona; poi lo strumento di tortura si addolcisce e mi incoraggia ad aumentare la frequenza portando i battiti cardiaci tra i 125 ed i 135 al minuto, esattamente il target che mi ero prefissato. "Che fatica, quanto tempo sarà passato? Cinque minutiiiii?" Il tempo, quando fai qualcosa di faticoso, sembra non passare mai. Un pensiero inizia a farsi strada nella mia mente: forse trenta minuti di attività, il primo giorno, dopo mesi di ozio assoluto, sono un obiettivo un po' azzardato. Mentre ragiono sul possibile errore di valutazione, sogno ad occhi aperti, immagino la mia muscolatura che  reagisce immediatamente allo sforzo, il mio corpo che si modella , i miei glutei che prendono forma somigliando a quelli di un bronzo di Riace (beh... il falso mito che le donne guardino subito il posteriore di un uomo mi fa desiderare questo). In realtà scopro con grande stupore che i muscoli nella zona dei glutei non fanno alcuna fatica, devono essersi addirittura addormentati, mentre nella coscia c'è qualcosa (credo possa essere il retto femorale) che inizia a lanciare segnali di affaticamento, segnali neppure tanto timidi, quasi invocazioni di aiuto. Al decimo minuto decido di interrompere l'agonia (mia e del retto femorale) e di risvegliare i glutei che oramai stavano russando. Con una certa fatica scendo dallo strumento di tortura, l'Everest in quel momento, e vado a bere qualcosa per reintegrare un po' di sali (in realtà non ho buttato fuori una goccia di sudore, quindi non capisco l'esigenza di reintegrare). Mi sento già pronto per ricominciare... domani però!!!

Lo sport fa maleFa ancora più male se siete delle mezze cartucce. Fa anche peggio se, oltre ad essere delle mezze cartucce, siete anche un po' ingenui pensando di fare "tutto" e "subito".

Buon ozio a tutti
Flavio



domenica 19 febbraio 2012

Google Friend Connect chiude... embè???

Giorni fa girovagavo senza una meta precisa tra un blog e l'altro inseguendo i link di follower di amici di conoscenti etc etc... quando, sulla home di Fabrizia, vedo capeggiare la scritta a caratteri cubitali "Google Friend Connect chiude". La cosa mi incuriosisce, anche perchè il blog di Fabrizia sembra davvero seguitissimo ed il fatto che lei abbia sacrificato uno spazio così importante della home page per questa notizia deve in qualche modo significare qualcosa. Leggo, approfondisco, ma la mia poca dimestichezza con tutto ciò che è Social (in rete, intendo) non mi aiuta. 

Che sarà mai questo Friend Connect? Ma serve? E' così grave la sua chiusura? In realtà non credo di aver mai sfruttato questo servizio, almeno in modo cosciente, ma forse ne sono stato involontario fruitore per il solo fatto di aver aggiunto qualche blog all'elenco di quelli che seguo... forse con qualche semplice ed inconsapevole click sono divenuto uno degli ignari utilizzatori di Friend Connect e, cosa più grave, mi renderò conto della sua importanza solo nel momento in cui non ci sarà più. Friend Connect, forse, è un po' come l'atomo... tu puoi anche non conoscerlo e non sapere nulla di lui e della sua esistenza, ma lui conosce te e fa parte della tua vita in ogni momento. Se da domani "Qualcuno" decidesse di eliminare l'atomo, probabilmente eliminerebbe anche me, il mio blog, i miei follower e quelli che, consapevoli o meno, hanno utilizzato Friend Connect (e l'atomo stesso...)


Che fare? Non lo so; se non capisco cosa qual'è la malattia, figuriamoci come potrei decidere una cura. La strada sembrerebbe quella di utilizzare Google+. Se inserisco il profilo G+ di una persona nelle mie cerchie e questa persona pubblica nella sua pagina G+ l'aggiornamento del blog, io ne vengo immediatamente informato. Dal punto di vista tecnico funziona, l'ho provato con alcuni blogger presenti su G+ e la mia bacheca si è arricchita delle segnalazioni dei loro nuovi post; però è un po' laborioso perchè costringe ad un passaggio in più, la pubblicazione di un breve messaggio sulla bacheca G+.
Staremo a vedere, se sono rose, fioriranno.  

Friend Connect, Google+, follower, cerchie, bacheca... che mal di testa, per oggi sarà meglio se chiudo, magari ci si rilegge domani quando spiegherò come aggiungere il proprio Badge G+ alla pagina del blog.


Badge G+... che sarà mai??? Mah!



lunedì 13 febbraio 2012

Parsons Dance

Più tempo passa e maggiori sono le conferme alla mia teoria secondo cui lo sport fa male anche se, anzichè praticarlo, lo segui solo come spettatore.

In questo caso la conferma mi è arrivata dal bellissimo spettacolo di danza moderna Parsons Dance visto al Teatro Politeama di Genova. Un'ora e mezza in cui otto giovani atleti si sono esibiti in un'alternanza di acrobazie e passaggi lenti, accompagnati da musiche dal ritmo incalzante e da brani, come Nascimiento, capaci di trasmettere allegria e spensieratezza. Ho scritto atleti non a caso, dire semplicemente "ballerini" potrebbe non descrivere con esattezza la forza e l'energia che i ragazzi hanno saputo trasmettere durante e loro evoluzioni sul palco.


Guardare uno spettacolo di questo tipo fa male perchè, per quanto tu possa essere antisportivo, almeno per una frazione di secondo, la tua mente viene attraversata dal pensiero "come mi sarebbe piaciuto essere così agile". In quella stessa frazione di secondo, misto alla sensazione di gioia e leggerezza, si insinua il pensiero su quello che saresti potuto essere se fin da piccolo non fossi stato investito dall'antisportività. Avresti potuto sviluppare costanza e determinazione nel perseguire i tuoi sogni, avere un fisico atletico, conoscere e frequentare tante persone, visitare tanti paesi e conoscere culture diverse.

Se non fossi stato così antisportivo, forse, sarei potuto essere tutto questo. Quel forse... a volte può far male.


http://www.parsonsdance.org